Natour-Biowatching

Lupo

La specie

Il lupo, nome scientifico Canis lupus, descritto da Linneo nel 1758, è uno dei pochi grandi carnivori sopravvissuti alle estinzioni dei mega-vertebrati che avvennero alla fine del Pleistocene, 20.000 anni fa, quando l’ultima glaciazione lasciò il posto al miglioramento climatico favorendo l’espansione delle moderne popolazioni di sapiens, l’addomesticamento di animali e piante e l’invenzione dell’agricoltura.

 

E’ una specie ecologicamente flessibile, molto adattabile, ai limiti dell’opportunismo. Vive in ambienti artici come pure nei deserti, in alta montagna o in riva al mare, si alimenta prevalentemente di ungulati selvatici, ma anche di pesci (salmonidi) e piccoli vertebrati, talvolta di vegetali. In ambienti fortemente antropizzati si avvicina agli insediamenti umani e può alimentarsi nelle discariche. Non disdegna gli ungulati domestici. A questa grande plasticità ecologica non corrisponde una altrettanto ampia variabilità morfologica. La morfologia generale del corpo è conservata, il peso varia da 35 a 45 kg nei maschi, da 28 a 38 kg nelle femmine. Il carattere più variabile è il colore del mantello, prevalentemente grigio, ma ci sono lupi artici completamente bianchi come pure lupi completamente neri; lupi col mantello molto folto a pelo lungo in Himalaya oppure molto rasato e rossastro nelle pianure aride dell’India e nei deserti d’Arabia.

Perchè questa specie deve essere salvaguardata

Il progetto di Nb

Natour Biowatching si unisce ad Associazioni del territorio parmense e non e a liberi professionisti impegnati nella conservazione e nel monitoraggio del lupo per dare un focus scientifico agli inutili e infondati allarmismi, derivanti dalla presenza del lupo in Provincia di Parma e in Italia.

La presenza dei lupi segnala il buono stato di salute dei nostri ecosistemi, ma talvolta interferisce con le attività produttive in agricoltura e zootecnia creando attriti che sono purtroppo esasperati ad arte. Ma, sulla base delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie disponibili, sappiamo che la convivenza uomini-lupi è possibile, anche nei nostri ambienti fortemente antropizzati.

5 Domande 5 Risposte

 

L’attuale popolazione di lupo in Italia origina dall’espansione di piccoli nuclei familiari che sopravvissero negli Appennini centro-meridionali a secoli di persecuzione, di distruzione degli habitat e delle loro prede naturali che avvennero per secoli nel nostro paese ed in tutta Europa. Fino ai primi anni ’60 il lupo è stato considerato “specie nociva”. La caccia al lupo e agli altri carnivori selvatici di medie e grandi dimensioni era sancita per legge, incentivata dal pagamento delle taglie che vennero abolite solamente nel 1971. Il lupo fu cancellato dalla lista delle specie nocive e definitivamente protetto solo nel 1976. Ma la caccia non fu l’unica causa del declino del lupo in Italia. Il disboscamento estensivo delle foreste ne distrusse l’habitat. La caccia agli ungulati selvatici ne ridusse drasticamente le fonti alimentari. Agli inizi del ‘900 le popolazioni di cinghiale, capriolo e cervo, oggi molto abbondanti, erano quasi scomparse. Nel 1972 sopravvivevano circa 100 lupi divisi in due principali popolazioni isolate nelle aree più inaccessibili delle montagne d’Abruzzo e Calabria. Proprio in quegli anni iniziò uno straordinario periodo di espansione del lupo che continua ancora oggi. Il ritorno del lupo fu la conseguenza della protezione per legge, delle azioni dirette di conservazione (l’istituzione dei parchi nazionali ed altre aree protette, le azioni di tutela della specie e dei suoi habitat), ma anche di complessi cambiamenti della struttura sociale, produttiva ed ecologica del nostro Paese. L’abbandono della montagna e delle aree agricole marginali, i massicci movimenti di emigrazione di cittadini italiani verso le città hanno favorito l’espansione dei boschi e degli incolti a cui sono seguite le rapidissime espansioni delle popolazioni di ungulati selvatici talvolta sostenute da reintroduzioni e ripopolamenti. La ricostituzione degli ecosistemi e delle popolazioni naturali di ungulati ha reso possibile il ritorno del lupo in quasi tutti gli Appennini ed in parte delle Alpi. I lupi sono, molto approssimativamente, addoppiati ogni 10 anni, passando dai 100 esemplari presenti negli anni ’70 ai circa 3000 agli inizi del 2000. Quindi, i lupi italiani sono di origine italiana. Nessun lupo è mai stato rilasciato e l’espansione è stata del tutto naturale.

 

Quanti lupi ci sono in Italia? Nell’autunno-inverno 2021-2022 è stato realizzato il primo monitoraggio nazionale del lupo avviato dal Ministero dell’Ambiente (MISE), coordinato da ISPRA in collaborazione con Federparchi e i parchi nazionali, con il programma LIFE WolfAlps EU, i Carabinieri Forestali, le regioni, Legambiente, WWF, LIPU, CAI ed altre associazioni, alcune università e tanti volontari. La presenza del lupo è stata accertata tramite osservazioni dirette e tracce validate, video e foto, predazioni e identificazioni genetiche. I dati raccolti hanno documentato la presenza del lupo in quasi tutti i territori potenzialmente disponibili in Italia peninsulare e in parte delle Alpi centro-occidentali e orientali. Risulta quindi ufficialmente che nell’inverno 2021-2022 erano presenti: a) 946 lupi nelle Alpi (variabili da un minimo di 822 a un massimo di 1099 individui); b) 2.388 lupi (minimo 2.020 – massimo 2.645) nella penisola, per un totale di oltre 3.300 lupi in Italia. Le metodologie utilizzate e la sintesi dei risultati sono state pubblicate da ISPRA, reperibili nel sito web dell’Istituto (https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/biodiversita/monitoraggio-nazionale-del-lupo).


In realtà, per essere rigorosi, non si è trattato esattamente di un monitoraggio, operazione che deve essere standardizzata e ripetuta nel tempo, quanto piuttosto di un censimento. Ci auguriamo che il censimento ‘20-‘21 sia solo un primo passo per arrivare all’elaborazione di un vero programma di monitoraggio del lupo e delle sue prede. Il monitoraggio è necessario per ottenere dati comunicabili anche a chi non è del mestiere: politici, amministratori, manager e chiunque debba assumere le iniziative necessarie ad assicurare la miglior convivenza possibile fra uomini e lupi. Intanto sarebbe assai utile che ISPRA rendesse pubblica la banca dati del lupo in Italia, diffondendo le informazioni disponibili sul numero di lupi e gruppi familiari presenti nelle regioni e nelle province. Così sarà possibile facilitare lo sviluppo di strategie di gestione dei conflitti e di convivenza con i grandi carnivori, specie particolarmente protette dalla legislazione nazionale e comunitaria, che sono presenti e sono destinate a restare arricchendo la biodiversità del nostro Paese.

I lupi stanno all’apice delle reti alimentari degli ecosistemi. Predano numerose specie di grandi ungulati selvatici ed altre specie di mammiferi. Le loro preferenze alimentari sono molto flessibili e si adattano alla composizione delle faune locali. Perciò è difficile fare generalizzazioni. Sulla base dei dati disponibili, sappiamo che i lupi negli Appennini si nutrono prevalentemente di cinghiali e caprioli, poi di daini, cervi ed anche mufloni nelle zone dove si trovano queste specie. Nelle Alpi i lupi predano prevalentemente caprioli e camosci, oltre che cervi e cinghiali. La dieta dei lupi è spesso integrata da prede più piccole: lepri, marmotte, roditori e, occasionalmente, anche pochi vegetali e frutti. In Italia ed in molte altre regioni europee i lupi vivono in ambienti quasi sempre parzialmente antropizzati, in presenza di attività produttive agricole e zootecniche. In questi ambienti i lupi hanno accesso anche agli erbivori domestici: ovini, caprini, bovini, equini che, di solito, costituiscono una componente minore della dieta. Le predazioni sul bestiame domestico possono venire molto ridotte o addirittura azzerate dagli efficaci sistemi di prevenzione e dissuasione che sono disponibili e che è possibile istallare anche col supporto economico e tecnico delle amministrazioni regionali. Durante le fasi iniziali dell’espansione, i lupi in dispersione predano bestiame domestico più frequentemente del solito, poi rapidamente entro pochi anni le predazioni si stabilizzano a spese della fauna selvatica e gli animali domestici vengono predati più raramente. I lupi sono predatori molto flessibili e usano anche altre risorse alimentari: carcasse di animali selvatici o domestici, carni abbandonate in discarica, rifiuti. Per evitare l’avvicinamento dei lupi (e dei cinghiali) agli allevamenti e alle abitazioni è importante non lasciare carcasse o rifiuti all’aperto.

Da qualche anno si nota la presenza di lupi in dispersione e di pochi gruppi familiari anche in pianura. L’espansione in pianura è certamente sostenuta dalle disponibilità di ungulati selvatici, principalmente cinghiali e caprioli, ma è agevolata dalla presenza di specie alloctone come la nutria o quasi naturalizzate come il daino, che in alcune zone stanno rapidamente diventando abbondanti. In questo modo i lupi contribuiscono a mitigare gli impatti negativi di alcune specie alloctone sugli ecosistemi. I moduli comportamentali dei lupi sono in parte ereditati geneticamente, in parte sono trasmessi culturalmente sulla base delle esperienze di adattamento ed utilizzo delle fonti alimentari locali. Nel corso del primo anno di vita i cuccioli apprendono dai genitori cosa e come cacciare. Queste tradizioni culturali possono originare comportamenti particolari. Così accade che in alcune zone, soprattutto di pianura, i lupi imparano a predare altri carnivori: sciacalli, volpi o cani domestici. I cani randagi sono migliaia di volte più numerosi dei lupi, soprattutto in Italia centro-meridionale, dove vengono regolarmente predati. I cani vaganti, randagi o da caccia, da decenni fanno parte della tradizionale dieta del lupo. Per evitare queste predazioni occorre contrastare il randagismo e gestire più accuratamente i nostri cani.

 

I lupi controllano le popolazioni delle loro prede. Gli erbivori hanno importanti effetti diretti sulla composizione e funzionamento degli ecosistemi, poiché regolano la produzione di biomassa vegetale. I grandi carnivori predando gli erbivori, a loro volta hanno effetti indiretti anche sulla biomassa vegetale. In alcuni casi è probabile che le conseguenze delle predazioni influiscano indirettamente sull’assorbimento di carbonio, contribuendo a mitigare i cambiamenti climatici. Per esempio, i cervi e i caprioli in foreste miste tendono a preferire le latifoglie, favorendo così l’espansione delle conifere, che assorbono meno C02 delle latifoglie. Al contrario, la riduzione del pascolamento di cervi, caprioli e cinghiali nelle praterie favorisce il rinnovamento delle erbacee e questo aumenta l’assorbimento di carbonio. In questo modo la ricostruzione delle reti alimentari produce ecosistemi più equilibrati e funzionali. I processi di rinaturalizzazione, favorendo l’espansione dei grandi ungulati e la ricolonizzazione del lupo, contribuiscono alla ricostituzione di ecosistemi integri ed efficienti in grado di migliorare l’erogazione di quei benefici così utili per noi: riciclo degli elementi, depurazione dell’acqua e aria, vitalità dei suoli, assorbimento del carbonio, stabilità climatica.


Quindi, in Italia i lupi sono troppi? Le leggi fondamentali dell’ecologia dimostrano che negli ecosistemi naturali e stabili predatori e prede regolano vicendevolmente le loro popolazioni; quindi, i lupi non potrebbero mai diventare troppi rispetto alle loro prede. Ma nei nostri paesi i lupi vivono in ambienti antropizzati, modificati dalle attività umane, con presenza di allevamenti, animali domestici e popolazioni di specie aliene. In queste condizioni è difficile valutare se la sola disponibilità di fonti alimentari naturali possa regolare le popolazioni dei carnivori. La distribuzione del lupo è controllata anche da altri elementi, come la disponibilità di territorio poco antropizzato, di aree protette e sicure per la riproduzione, la presenza di città, industrie e infrastrutture. Gli incidenti stradali e il bracconaggio sono fra le principali cause di mortalità del lupo. L’organizzazione sociale dei lupi è basata sui territori di molte decine di km2 che sono occupati stabilmente dai nuclei familiari. L’espansione della popolazione sta continuando nelle Alpi da ovest a est, ma ha ormai saturato gli ambienti disponibili in buona parte degli Appennini dove non potrà continuare al ritmo dei decenni precedenti. In conclusione: non possiamo affermare che i lupi sono troppi. Eventualmente possono apparire “troppi” nella percezione degli abitanti di quei territori da cui i lupi erano scomparsi da secoli. Il web ed i social media ci offrono la possibilità di diffondere in tempo reale una immensità di notizie, vere o false che siano, foto e video di lupi veri o presunti tali, il che non fa altro che alimentare la sensazione che i lupi siano troppi e siano ovunque, distorcendo una realtà che dovrebbe essere compresa e comunicata sulla base di dati oggettivi e delle evidenze scientifiche.

Foto di Antonio Iannibelli

Il lupo è contemporaneamente una realtà biologica e culturale. È una presenza materiale, parte degli ecosistemi forestali più naturali e ricchi di biodiversità, ed un’immagine simbolica piena di significati quasi sempre costruiti ad arte. Per fare un solo esempio, fondamentale per noi italiani, ricordiamo il mito della lupa che allattò Romolo e Remo, i due gemelli che fondarono Roma. Per secoli i lupi sono stati perseguitati perché considerati pericolosi, indesiderabili e “nocivi”, dannosi alle attività agricole, all’allevamento ed in competizione con il prelievo venatorio, un tempo importante fonte alimentare per l’uomo. Per tutto il Medio Evo il lupo è stato demonizzato in quanto subdola e pericolosa incarnazione del demonio, perciò da sopprimere. La caccia al lupo è stata intensa da metà ‘800 a metà ‘900 in coincidenza con l’espansione dell’agricoltura anche in montagna e la disponibilità di armi da fuoco. L’eliminazione dei lupi era considerata essenziale per favorire lo sviluppo economico delle campagne. La caccia al lupo era legale, incentivata dal pagamento delle taglie che costituivano una fonte di reddito per i “lupari”, i cacciatori di lupi. Così la popolazione italiana di lupo è diminuita fin quasi alle soglie dell’estinzione, al punto che agricoltori e allevatori hanno progressivamente abbandonato le pratiche di difesa dalle predazioni. L’immagine del lupo è cambiata e la tradizionale cultura della coabitazione competitiva col lupo è rapidamente svanita.

Da metà del ‘900 ad oggi è cambiato il trend socioeconomico ed ecologico. La ricomparsa del lupo prima in montagna, poi la successiva espansione in aree pedemontane e più recentemente anche in pianura ci trova impreparati. Prima tutto culturalmente impreparati ad accettare la presenza di specie selvatiche da tempo scomparse, e a mettere in pratica comportamenti adeguati. Da 50 anni il lupo è particolarmente protetto. La caccia è proibita, eventuali abbattimenti di difesa o controllo devono essere autorizzati in deroga alle normative vigenti, ma non sono mai stati praticati in Italia. Gli allevamenti devono essere protetti. I rifiuti commestibili non possono essere lasciati all’aperto. La presenza di lupi attorno alle abitazioni risveglia antichi timori. I sondaggi indicano che le opinioni dei cittadini tendono a polarizzarsi: gli abitanti di città che usano le campagne e le aree naturali come svago sono generalmente favorevoli alla presenza di lupi, orsi e fauna selvatica in generale. Al contrario, gli agricoltori, soprattutto in montagna, e i cacciatori sono prevalentemente contrari. La diffusione del lupo sta esasperando i conflitti tra gruppi sociali che hanno opinioni e interessi diversi. Siamo impreparati, ma è necessario passare dalla cultura della competizione ed eradicazione dei grandi predatori ad una cultura della coabitazione, anche per evitare che i conflitti non adeguatamente affrontati degenerino a danno sia della convivenza civile che della fauna selvatica, prede e predatori inclusi. Aspetti particolarmente negativi della polarizzazione sono: il bracconaggio che continua a eliminare, spesso con metodi abominevoli, circa il 10% della popolazione attuale di lupo, la strumentalizzazione politica a fini elettorali, spesso basata su rozzi fraintendimenti della realtà, la diffusione di notizie false immediatamente amplificate dai social, le narrazioni appositamente falsificate al fine di generare apprensione e paura in quei cittadini che sono privi delle necessarie conoscenze faunistiche e scientifiche.

Dobbiamo aver paura del lupo? Gli avvistamenti di lupi, certamente più frequenti che in passato, generano timori, soprattutto fra quei cittadini che vivono in luoghi isolati. Tuttavia, sappiamo che da secoli in Italia i lupi non attaccano e neppure minacciano gli umani. Uno studio scientifico appena pubblicato (Bombieri et al.; PLOS Biology, 31 gennaio 2023) riporta che in Europa negli ultimi 70 anni, dal 1950 al 2019, sono stati segnalati 8 attacchi di lupi agli umani, nessuno dei quali è risultato letale, nessuno è stato segnalato in Italia. Lo studio riporta che sono noti “Quattro attacchi in Polonia nel 2018, in cui un lupo è stato coinvolto in 3 dei casi. In tutti i casi, i lupi erano condizionati dal cibo e non avevano paura delle persone. Due casi in Lettonia (1998 e 2000) senza informazioni sullo scenario. Un caso in Spagna (1983), dove il lupo è stato provocato volontariamente. Un caso nella Macedonia del Nord (2016), in cui un uomo è stato aggredito dopo aver cercato di difendere la sua stalla da un lupo. Nessun attacco confermato (non rabbioso) si è verificato nei seguenti paesi europei tra il 1980 e il 2019: Norvegia, Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Grecia, Romania, Ucraina, Estonia, Bielorussia, Slovacchia, Bulgaria, Francia, Germania, Austria, Svizzera, Lituania, Portogallo e Italia”. Quindi non dobbiamo aver paura del lupo, ma serve adottare comportamenti adeguati.

Tuttavia, il web e la stampa locale diffondono in continuazione false notizie allo scopo di lanciare il messaggio: “La vostra sicurezza è in pericolo. Se non siete preoccupati, sbagliate: dovreste preoccuparvi. Se non siete abbastanza spaventati, sbagliate: dovreste aver paura”.  Per non cadere nel vortice della paura del lupo è necessario prima di tutto uscire dalla bolla del web, identificare le notizie false e falsificate ad arte ed utilizzare fonti documentate e le evidenze scientifiche. Ma la corretta informazione, pur necessaria, non è sufficiente. Occorre coinvolgere i diversi gruppi di cittadini, ascoltare le loro preoccupazioni e chiedere alle istituzioni di elaborare proposte e soluzioni per la mitigazione dei conflitti. Questi processi di partecipazione democratica, che vengono regolarmente sperimentati nell’ambito dei programmi internazionali per la conservazione della fauna, devono diventare permanenti grazie all’impegno delle pubbliche amministrazioni, delle aree protette, delle associazioni e del volontariato. Una cultura della convivenza può crescere grazie alla diffusione di informazioni corrette sulla biologia del lupo, alla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e dall’impegno delle istituzioni a tutelare le attività produttive nei settori più esposti ai danni da selvaggina.

_Foto di Antonio Iannibelli_

La rinaturalizzazione di ampie regioni in Europa ed in Italia ha portato ad un incremento della distribuzione di alcune specie di vertebrati, soprattutto mammiferi ed uccelli, ed all’aumento delle loro popolazioni anche in aree antropizzate, generando inevitabili conflitti con la presenza di attività produttive in agricoltura e zootecnia. Il ritorno del lupo particolarmente in aree da dove era assente da decenni ha determinato qualche problema agli allevatori che avevano abbandonato le tradizionali misure di protezione degli animali domestici. Tuttavia contemporaneamente sono stati sviluppati strumenti tecnici di dissuasione e di contrasto delle predazioni che, se applicati correttamente, consentono di limitare o in alcuni casi addirittura di azzerare i danni. Inoltre alcune regioni hanno avviato programmi di informazione e supporto tecnico agli allevatori e, soprattutto, hanno stanziato fondi a sostegno delle misure di prevenzione oltreché di indennizzo dei danni subiti. 

Alcuni strumenti di prevenzione sono stati sperimentati nell’ambito di progetti internazionali di conservazione finanziati dall’Unione Europea e da alcune regioni, producendo indicazioni utili per un loro più ampio e prolungato utilizzo nel tempo. I metodi di prevenzione più efficaci sono le recinzioni elettriche ed i cani da guardiania. Gli allevatori hanno a disposizione diversi tipi di recinzioni elettriche quali, per esempio, recinzioni di rete metallica elettrificata o recinzioni a fili elettrici. Entrambe le installazioni sono alimentate da batterie o da pannelli solari. Queste installazioni devono essere progettate molto bene, tenendo conto degli allevamenti da difendere (bovini, equini, caprini, ovini), della dimensione delle greggi e delle tipologie ambientali. Per assicurare buone prestazioni delle recinzioni è necessaria l’assistenza di tecnici esperti in fase di progettazione, installazione e manutenzione degli impianti. È importante che le amministrazioni regionali assicurino questa assistenza che, oltre che razionalizzare i costi degli investimenti, possa anche rassicurare gli allevatori che non devono sentire abbandonati delle istituzioni. L’assistenza agli allevatori deve essere costante e programmata, e per questo c’è un ruolo importante anche per le aree protette. In alcuni paesi europei sono in corso esperienze di volontariato: gruppi di persone tecnicamente formate che forniscono gratuitamente assistenza agli allevatori ed anche collaborano materialmente all’installazione delle recinzioni.

L’impiego corretto dei cani da guardiania può risultare molto efficace. È essenziale utilizzare razze di cani selezionate, se possibile recuperando le razze locali tradizionali. I cani vengono integrati nelle greggi nelle prime settimane di vita, abituati a convivere con gli animali domestici, ad obbedire ai proprietari e difendere efficacemente le greggi. Grazie a finanziamenti comunitari e regionali sono stati avviati allevamenti che riproducono i ceppi di cani da guardiania più adeguati e forniscono la necessaria assistenza tecnica agli allevatori per tutto quanto riguarda la socializzazione e l’addestramenti dei cani. È importante pure l’assistenza veterinaria ai cani altre che alle greggi. L’impiego dei cani deve essere sempre comunicato a chiunque frequenti le aree di pascolo tramite cartelli ed altri mezzi informativi utili.

I risultati di numerose esperienze di prevenzione delle predazioni sono stati positivi ovunque. Dopo l’installazione delle recinzioni elettrificate le predazioni da lupi sono diminuite dal 60% al 100%. L’utilizzo dei cani da guardiania ha ridotto gli attacchi dei lupi dal 30% al 70%. Questi risultati sono destinati a migliorare grazie alle esperienze già fatte ed al miglioramento dell’assistenza tecnica agli allevatori. In alcune aree protette italiane, l’uso corretto dei cani ha di fatto azzerato le predazioni. Questionari ed inchieste effettuate prima e dopo le installazioni hanno indicato incrementi molto significativi nella soddisfazione degli allevatori. Tuttavia, riduzioni anche drastiche dei danni da predazione non riescono ad annullare in settori della cittadinanza (agricoltori, allevatori, cacciatori) la percezione che la presenza dei lupi sia un ostacolo insormontabile alle produzioni zootecniche. Le amministrazioni regionali erogano indennizzi agli allevatori che denuncino danni specificatamente da lupi o, in molti casi, genericamente da canidi. Esistono procedure di indagine forense basate sulle conoscenze scientifiche che in molti casi consentono di identificare con precisione i “responsabili” delle predazioni, se lupi, cani vaganti o ibridi, anche se quasi mai le amministrazioni decidono di utilizzarle, preferendo indennizzare comunque. L’inadeguatezza delle cifre erogate, spesso con enormi ritardi, generano giustificate lamentele e insoddisfazioni. Anche per questi motivi, sono sempre da preferire le misure di prevenzione rispetto agli indennizzi. Quindi, in conclusione, con la partecipazione e la collaborazione di allevatori, tecnici, aree protette e pubbliche amministrazioni la convivenza con i grandi predatori è possibile.

HO VISTO UN LUPO! Buone norme di comportamento

_Poster LIFE+WolfAlps EU “Ho visto un lupo. Buone norme di comportamento”_

Qualche anno fa vedere un lupo era un evento rarissimo e imprevedibile. Ora sono molto più frequenti gli incontri occasionali, in collina, talvolta in pianura e anche vicino a centri abitati. L’opportunità di osservare lupi, alle giuste distanze ed in alcune località, nell’ambito di escursioni appositamente organizzate e con l’aiuto di guide naturalistiche, sono quasi garantite. I lupi vivono in società organizzate sulla base di unità familiari, normalmente chiamate branchi, una brutta traduzione dall’inglese packs. Una famiglia è composta dalla femmina riproduttiva, dai cuccioli di uno o due anni e dal compagno maschio, normalmente chiamato maschio alfa, ancora una brutta traduzione dall’inglese, perché sottintende un’idea di dominanza basata sulla forza e prepotenza, mentre le relazioni familiari sono basate su legami affettivi, riproduttivi e sulla cooperazione fra la coppia di lupi in ogni fase del ciclo vitale. Il nucleo famigliare abita un territorio di molte decine di km2, che viene marcato regolarmente con escrementi e urine deposte in punti visibili e segnalato dagli ululati notturni. Perciò, se non capita l’occasione di vedere i lupi, almeno certamente potremo osservarne le tracce: impronte di forme e dimensioni quasi sempre diverse dalle impronte dei cani, tracce sulla neve con percorsi tipicamente rettilinei a differenza degli spostamenti più caotici dei cani, ed eventuali avanzi di predazioni. Alcune aree protette fra metà agosto e fine settembre organizzano escursioni notturne di wolf-howling: i lupi, adulti e giovani, rispondono agli ululati lanciati da un altoparlante.

L’osservazione e la registrazione di tracce, predazioni, osservazioni dirette o tramite fototrappole e wolf-howling sono tutte esperienze coinvolgenti e alla portata di ciascuno di noi. È sufficiente un breve training per imparare a conoscere i segni di presenza del lupo. Perciò ciascuno di noi può rapidamente imparare qualcosa sulla vita dei lupi e con le proprie osservazioni può contribuire alle azioni di censimento e monitoraggio che aree protette, associazioni naturalistiche e pubbliche amministrazioni talvolta organizzano. Il contributo volontario dei cittadini consente di approfondire la conoscenza scientifica dei lupi (citizen science), fornisce informazioni preziose alle istituzioni che hanno il compito di provvedere alla conservazione della specie. La partecipazione ben gestita dei portatori di interesse, soprattutto allevatori e cacciatori, ai censimenti e ai monitoraggi del lupo può favorire lo scambio di punti di vista ed aiutare le strategie ci convivenza. In entrambi i casi, la partecipazione di cittadini e portatori di interesse può essere organizzata dalle associazioni naturalistiche con l’indispensabile sostegno di personale esperto, ecologi, zoologi e naturalisti. 

L’immagine del lupo e degli altri grandi carnivori è in parte costruita socialmente dai mezzi di comunicazione. Gli atteggiamenti dei cittadini sono fortemente condizionati non tanto dai rischi reali, ma dalla percezione dei rischi, quasi universalmente enfatizzati dai media costantemente in cerca di notizie sensazionalistiche. La tolleranza ed i timori nei confronti del lupo sono plasmati dai mezzi di comunicazione che tendono a enfatizzarne gli aspetti negativi. Recenti studi di sociologia della comunicazione dimostrano che le informazioni diffuse dalla stampa e dai social media sono spesso scorrette allo scopo di influenzare l’opinione dei cittadini (elettori) e spingere i politici a scelte punitive verso il lupo e ad ostacolarne la conservazione.  Perciò le relazioni fra cittadini, associazioni naturalistiche e mezzi di comunicazione devono essere molto attente per evitare di cadere nelle trappole del sensazionalismo, se non addirittura delle fake news. Una buona divulgazione scientifica può attenuarne le conseguenze negative. La corretta informazione sulla biologia dei lupi e la conoscenza delle semplici norme di comportamento che dovremmo seguire in casi di incontri imprevisti, sono certamente di grande aiuto per superare le diffidenze e migliorare la convivenza.

Approfondimenti, Azioni, Link

Appuntamenti

15 aprile 2023

Roma

“Non è colpa del lupo, gli animali selvatici non si toccano” ItalianWildWolf – Manifestazione nazionale ( QUI, dettagli)

19 Febbraio 2023​

Borgotaro (Pr)

“Coordinamento Lupo, per divulgare secondo scienza” – Uscita naturalistica “Sulle orme dei lupi” ( QUI, dettagli)

Dicembre 2022

Parma

Nasce il “Coordinamento Lupo. Per divulgare secondo scienza” a favore di una narrazione scevra da pregiudizi e per l’apprezzamento del lupo come elemento fondamentale dei nostri ecosistemi e paesaggi, dal Po al crinale appenninico. ( QUI dettagli

Alcune foto dall’archivio di Antonio Iannibelli, naturalista e  fotografo (http://italianwildwolf.com/), che ringraziamo infinitamente per la preziosa collaborazione.

PER SAPERNE DI PIU'

Contattaci se desideri raccogliere ulteriori dettagli.
Risponderà il Prof. Ettore Randi [SCARICA BIOGRAFIA] autore dei testi sul lupo, collaboratore di Natour Biowatching e di Coordinamento Lupo.