Foto di Antonio Iannibelli
Il lupo è contemporaneamente una realtà biologica e culturale. È una presenza materiale, parte degli ecosistemi forestali più naturali e ricchi di biodiversità, ed un’immagine simbolica piena di significati quasi sempre costruiti ad arte. Per fare un solo esempio, fondamentale per noi italiani, ricordiamo il mito della lupa che allattò Romolo e Remo, i due gemelli che fondarono Roma. Per secoli i lupi sono stati perseguitati perché considerati pericolosi, indesiderabili e “nocivi”, dannosi alle attività agricole, all’allevamento ed in competizione con il prelievo venatorio, un tempo importante fonte alimentare per l’uomo. Per tutto il Medio Evo il lupo è stato demonizzato in quanto subdola e pericolosa incarnazione del demonio, perciò da sopprimere. La caccia al lupo è stata intensa da metà ‘800 a metà ‘900 in coincidenza con l’espansione dell’agricoltura anche in montagna e la disponibilità di armi da fuoco. L’eliminazione dei lupi era considerata essenziale per favorire lo sviluppo economico delle campagne. La caccia al lupo era legale, incentivata dal pagamento delle taglie che costituivano una fonte di reddito per i “lupari”, i cacciatori di lupi. Così la popolazione italiana di lupo è diminuita fin quasi alle soglie dell’estinzione, al punto che agricoltori e allevatori hanno progressivamente abbandonato le pratiche di difesa dalle predazioni. L’immagine del lupo è cambiata e la tradizionale cultura della coabitazione competitiva col lupo è rapidamente svanita.
Da metà del ‘900 ad oggi è cambiato il trend socioeconomico ed ecologico. La ricomparsa del lupo prima in montagna, poi la successiva espansione in aree pedemontane e più recentemente anche in pianura ci trova impreparati. Prima tutto culturalmente impreparati ad accettare la presenza di specie selvatiche da tempo scomparse, e a mettere in pratica comportamenti adeguati. Da 50 anni il lupo è particolarmente protetto. La caccia è proibita, eventuali abbattimenti di difesa o controllo devono essere autorizzati in deroga alle normative vigenti, ma non sono mai stati praticati in Italia. Gli allevamenti devono essere protetti. I rifiuti commestibili non possono essere lasciati all’aperto. La presenza di lupi attorno alle abitazioni risveglia antichi timori. I sondaggi indicano che le opinioni dei cittadini tendono a polarizzarsi: gli abitanti di città che usano le campagne e le aree naturali come svago sono generalmente favorevoli alla presenza di lupi, orsi e fauna selvatica in generale. Al contrario, gli agricoltori, soprattutto in montagna, e i cacciatori sono prevalentemente contrari. La diffusione del lupo sta esasperando i conflitti tra gruppi sociali che hanno opinioni e interessi diversi. Siamo impreparati, ma è necessario passare dalla cultura della competizione ed eradicazione dei grandi predatori ad una cultura della coabitazione, anche per evitare che i conflitti non adeguatamente affrontati degenerino a danno sia della convivenza civile che della fauna selvatica, prede e predatori inclusi. Aspetti particolarmente negativi della polarizzazione sono: il bracconaggio che continua a eliminare, spesso con metodi abominevoli, circa il 10% della popolazione attuale di lupo, la strumentalizzazione politica a fini elettorali, spesso basata su rozzi fraintendimenti della realtà, la diffusione di notizie false immediatamente amplificate dai social, le narrazioni appositamente falsificate al fine di generare apprensione e paura in quei cittadini che sono privi delle necessarie conoscenze faunistiche e scientifiche.
Dobbiamo aver paura del lupo? Gli avvistamenti di lupi, certamente più frequenti che in passato, generano timori, soprattutto fra quei cittadini che vivono in luoghi isolati. Tuttavia, sappiamo che da secoli in Italia i lupi non attaccano e neppure minacciano gli umani. Uno studio scientifico appena pubblicato (Bombieri et al.; PLOS Biology, 31 gennaio 2023) riporta che in Europa negli ultimi 70 anni, dal 1950 al 2019, sono stati segnalati 8 attacchi di lupi agli umani, nessuno dei quali è risultato letale, nessuno è stato segnalato in Italia. Lo studio riporta che sono noti “Quattro attacchi in Polonia nel 2018, in cui un lupo è stato coinvolto in 3 dei casi. In tutti i casi, i lupi erano condizionati dal cibo e non avevano paura delle persone. Due casi in Lettonia (1998 e 2000) senza informazioni sullo scenario. Un caso in Spagna (1983), dove il lupo è stato provocato volontariamente. Un caso nella Macedonia del Nord (2016), in cui un uomo è stato aggredito dopo aver cercato di difendere la sua stalla da un lupo. Nessun attacco confermato (non rabbioso) si è verificato nei seguenti paesi europei tra il 1980 e il 2019: Norvegia, Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Grecia, Romania, Ucraina, Estonia, Bielorussia, Slovacchia, Bulgaria, Francia, Germania, Austria, Svizzera, Lituania, Portogallo e Italia”. Quindi non dobbiamo aver paura del lupo, ma serve adottare comportamenti adeguati.
Tuttavia, il web e la stampa locale diffondono in continuazione false notizie allo scopo di lanciare il messaggio: “La vostra sicurezza è in pericolo. Se non siete preoccupati, sbagliate: dovreste preoccuparvi. Se non siete abbastanza spaventati, sbagliate: dovreste aver paura”. Per non cadere nel vortice della paura del lupo è necessario prima di tutto uscire dalla bolla del web, identificare le notizie false e falsificate ad arte ed utilizzare fonti documentate e le evidenze scientifiche. Ma la corretta informazione, pur necessaria, non è sufficiente. Occorre coinvolgere i diversi gruppi di cittadini, ascoltare le loro preoccupazioni e chiedere alle istituzioni di elaborare proposte e soluzioni per la mitigazione dei conflitti. Questi processi di partecipazione democratica, che vengono regolarmente sperimentati nell’ambito dei programmi internazionali per la conservazione della fauna, devono diventare permanenti grazie all’impegno delle pubbliche amministrazioni, delle aree protette, delle associazioni e del volontariato. Una cultura della convivenza può crescere grazie alla diffusione di informazioni corrette sulla biologia del lupo, alla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e dall’impegno delle istituzioni a tutelare le attività produttive nei settori più esposti ai danni da selvaggina.