In Francia, a Cadarache, un consorzio di 35 nazioni (tutta l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Russia, la Corea del Sud, il Giappone, la Cina, l’India) sta portando avanti un gigantesco esperimento per poter arrivare alla fusione seguendo un altro sistema, il “confinamento magnetico”, che allo stato attuale sembra la tecnologia più matura e promettente. Il nome dell’esperimento è “ITER”, acronimo di “International Thermonuclear Experimental Reactor”. Si punta a produrre una quantità di energia dieci volte superiore a quella immessa. Si parla di una potenza di 50 MW impiegati e di 500 MW ottenuti, compensando anche quella utilizzata dagli impianti ausiliari, e mantenendo stabile la reazione per una decina di minuti. L’ esperimento studierà la fisica del plasma, per arrivare ad una sufficiente stabilità della reazione, e metterà alla prova diverse versioni di parti della macchina, che dovranno resistere a condizioni e sollecitazioni mai raggiunte dalla tecnologia umana. Questo permetterà di costruire un “quasi” prototipo (chiamato “DEMO”) che servirà a testare i parametri definitivi di funzionamento, e che permetterà di arrivare alla macchina definitiva (per ora chiamata “PROTO”), da cui deriveranno i reattori commerciali.
Nel novembre dell’anno scorso ho potuto partecipare, insieme a qualche amico, all’Open Day di ITER e visitare gli impianti in costruzione, dove scienziati di tutte le nazioni collaborano, lavorando insieme in armonia. Il complesso è impressionante. Strutture immense servono per allestire le varie parti, che vengono poi assemblate nell’edificio principale, a comporre una macchina grande come una cattedrale, pesante sette volte la Tour Eiffel (solo la macchina, esclusi tutti gli impianti ausiliari). Difficile rendersi conto delle condizioni in cui dovrà operare, talmente estreme da essere quasi inimmaginabili: all’interno della camera a vuoto, il cuore dell’impianto, avremo una temperatura intorno ai 150 milioni di gradi, la più alta dell’universo, ed a pochi centimetri i magneti superconduttori dovranno essere mantenuti ad una temperatura prossima allo zero assoluto, la temperatura più bassa di tutto l’universo. La pressione di funzionamento sarà bassissima, circa 0,000005 atmosfere: solo un paio di grammi di idrogeno riempiranno la camera a vuoto, che avrà un volume di 800 metri cubi, il volume di una piscina olimpionica. Il calore che investirà le pareti interne sarà il quadruplo di quello sopportato dalle capsule spaziali al rientro nell’atmosfera. I problemi da risolvere sono immensi, forse è la più grande sfida mai affrontata dall’umanità.