Natour-Biowatching

I  primi fiori alla fine dell’inverno

IL RITORNO DI PERSEFONE, I  PRIMI  FIORI  ALLA  FINE  DELL’INVERNO

Articolo e immagini a cura di Carlo Mazzera, anche Esperto Natour Biowatching

 

In uno dei miti greci più suggestivi Persefone, figlia di Demetra, dea delle messi, viene rapita da Ade, il dio degli inferi, che si è innamorato di lei. La madre tenta di riaverla, ma Persefone, negli inferi, ha consumato ritualmente un chicco di melograno, suggellando così il suo matrimonio con Ade. La madre disperata smette di far crescere le messi ed abbandona la cura della vegetazione. Ed allora, per ovviare ad un inverno infinito, Zeus le concede di riavere la figlia per metà all’anno. Per sei mesi Persefone sarà una divinità ctonia, sposa di Ade, per gli altri sei mesi si potrà ricongiungere alla madre, che felice farà rifiorire la terra. Ed ecco che dopo lunghi mesi di gelo e di buio, di piante spoglie e di colori smorti, abbiamo il risveglio della natura, e sei mesi caldi, verdi e colorati da fiori e frutti. Persefone (Proserpina per i latini) si è appena svegliata, sta tornando ora nella terra dei viventi, e per la nostra gioia Demetra (Cerere per i latini), ha iniziato a far fiorire prati e boschi.


Carlo Mazzera ci regala
una breve rassegna dei primi fiori alla fine dell’inverno.

 

Note: la scelta è limitata ai fiori più tipici della zona nell’Appennino settentrionale; sono stati tutti fotografati in provincia di Parma, a quote comprese tra i trecento ed i mille metri, tra la fine di gennaio ed i primi giorni di marzo. Ovviamente a quote più basse e nel centro-sud Italia le fioriture sono più precoci, con tante specie diverse.

Cliccando sull’immagine è possibile conoscere il dettaglio la specie e autore dell’immagine.

Sono i primissimi fiori che fanno capolino tra la vegetazione secca. Le loro foglie, di un verde intenso, sono apparse già da tempo. I fiori sbocciano alla fine di gennaio, ma si notano poco per il loro colore prevalentemente verde. Noti già nell’antichità sono protagonisti di miti e leggende. Si riteneva che potessero guarire dalla pazzia, Paracelso ne usò le foglie per un elisir di lunga vita, D’annunzio li nominò nella “Figlia di Iorio”, “Vammi in cerca dell’Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura”. Fino a pochi anni fa venivano usati in medicina popolare come revulsivo e rubefacente nella cura di artriti e reumatismi (come i moderni cerotti che scaldano la parte dolorante), ora non più, per la loro velenosità e perché troppo “drastici”. Ancora più precoce  dei nostri è l’ Helleborus niger, la “Rosa di Natale”, prevalentemente alpino, che ho trovato fiorito ai primi di gennaio (salendo ai Corni di Canzo, sopra Lecco).  

I Noccioli portano i fiori maschili e femminili sulla stessa pianta. Le gialle infiorescenze maschili, chiamate “amenti”, sono lunghe e pendule. Sono apparse già in autunno, ma ora si sono allungate e sgranate, e cominciano a rilasciare il polline. I fiori femminili sono invece minuscoli, ridotti a corti filamenti rosso vivo che spuntano dalle gemme che produrranno la nocciola. Sono solo un ciuffetto di stimmi, lunghi pochi millimetri. La fecondazione infatti è ad opera del vento, e non servono petali vistosi per farsi notare dagli insetti impollinatori. 

Ogni fine inverno cerco di proposito questi minuscoli fiori rossi, altrimenti impossibili da notare. Per me sono uno dei segni più emozionanti della ripresa della vegetazione.

I Crochi sono una delle fioriture primaverili più vistose e colorate. Parenti stretti dello Zafferano (Crocus sativus) spesso tappezzano i prati con i loro calici delicati. Poi il fiore sparirà, lasciando solo poche foglie simili a fili d’erba, con una sottile riga bianca centrale.

Spesso visibile ai bordi delle strade, o nei terreni smossi. I fiori gialli, su steli un po’ fragili e “grassi”, appaiono prima delle foglie. E’ una delle piante medicinali più apprezzate per la tosse e nella cura della pelle. Il nome del genere è proprio riferito alle proprietà espettoranti: Tussilago da “tussis” ed “agere”, far tossire.

Uno dei fiori più conosciuti ed amati. Il nome italiano è riferito al fatto che può capitare di vederlo spuntare fra le ultime chiazze di neve che si sta sfacendo nelle radure di montagna. Una leggenda afferma che basta raccogliere un Bucaneve nella prima notte di luna dopo la fine di gennaio per essere felici tutto l’anno; immagino che la credenza rifletta la gioia di trovare finalmente un fiore, segno della primavera prossima dopo un lungo inverno.

Appare in genere nei boschi verso la fine di febbraio, insieme alle primule: belle macchie di colore tra le foglie secche. Le sue foglie vecchie, persistenti in inverno, si tingono di un rosso violaceo nella pagina inferiore (vedi immagine 14). Questo colore, che ricorda quello del fegato, e la loro forma a tre lobi (anche il fegato è lobato), hanno ispirato il nome del genere: Hepatica da “hepar”, fegato. Per la teoria rinascimentale della “segnatura” colore e forma della foglia indicavano un “legame terapeutico” con il fegato (si pensava che Dio avesse messo un “segno” nelle piante medicinali per indicare le loro proprietà curative). A dispetto di questa teoria la Fegatella è tossica, come molte Ranunculacee, e le sue proprietà terapeutiche non sono comprovate.

A volte confusi con i Bucaneve, arrivano un po’ più tardi. Nascono nei boschi, quando però gli alberi sono ancora senza foglie, e c’è luce anche nelle faggete. A volte fioriture massicce, spettacolari.

Anche questo è un fiore di sottobosco, a volte tappezzante. Spunta in marzo, quando gli impollinatori sono ormai in piena attività. Il lungo sperone permetterebbe l’accesso al nettare solo ad insetti dotati di una spiritromba piuttosto lunga, ma qualcuno, pur non essendo attrezzato, non è disposto a rinunciare al nettare. Nella foto potete vedere un foro in ciascuno sperone: i responsabili sono i Bombi, che, piuttosto sbrigativi ed anche un po’ brutali, bucano lo sperone per arrivare dall’esterno direttamente al cibo… e senza impollinare il fiore.

Aspetto tipico di un sottobosco con Primule e Fegatelle in piena fioritura. Gli alberi sono ancora spogli, e la luce inonda il terreno.

Una stupenda Liliacea dai colori delicati, uno dei fiori più belli del sottobosco. Da un po’ di tempo sono apparse le coppie di foglie maculate, ora sono arrivati i fiori. Il nome viene dall’aspetto del bulbo, simile ad un dente.

Uno dei fiori più celebrati dalla mitologia greca e latina, legato soprattutto al mito di Narciso, innamorato di se stesso. Non molto comune da noi (in genere è più facile trovare il N. poeticus), in rari casi forma delle fioriture incredibili, come questa, iniziata nei primi giorni di marzo. Una gioia per gli occhi e per lo spirito. Già frequentatissimi dagli impollinatori, in particolare si fanno notare numerosi esemplari di Xilocopa, grossi Apidi nero-bluastri (e numerose anche le presenze di “sapiens” dotati di macchina fotografica).

E’ un’orchidea dalla fioritura precocissima, in Centro e Sud Italia fiorisce già in gennaio. Sui miei monti (tra le province di Parma, Piacenza, versanti a nord del crinale appenninico) fino a pochi anni fa era rarissima, ora, temo chiaro segno del cambiamento climatico, si sta espandendo velocemente. A volte si trova fiorita già in febbraio; spesso però le gelate di fine inverno “bruciano” la rosetta delle foglie basali, e non riesce a sviluppare lo stelo fiorale.

Fiori fuori stagione di fragola, fotografati il 12 febbraio di quest’anno. Un po’ di sole dopo giorni di gelo ne ha permesso la comparsa timidissima (e sicuramente troppo “ottimistica”).

Sono fioriture “sbagliate”, piante che si svegliano troppo presto, ingannate da qualche giornata di bel tempo, spesso destinate ad essere rovinate da qualche gelata tardiva. Negli ultimi anni sta capitando con frequenze maggiori, probabilmente a causa degli inverni particolarmente miti. Le fragole ad esempio fioriscono spesso in gennaio o febbraio, con due o tre mesi di anticipo.

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